2002
Letizia Fornasieri

DENTRO, FUORI, LONTANO
di Luca Beatrice

Ai frequentatori dell'ambiente artistico milanese degli ultimi anni sarà certo capitato di incontrare la pittura di Letizia Fornasieri: tanto appartata quanto talentuosa, tanto silenziosa quanto caparbia. Agli altri, e sono la maggior parte, non dovrebbe più sfuggire l'occasione di verificare, senza alcun pregiudizio pregresso, l'ope­ra di un'artista che continua a dimostrarsi un'inquieta sperimentatrice pur muovendosi all'interno di una fi­gurazione ben ancorata alla tradizione pre-avanguardista e alla stagione d'oro del primo Novecento italiano. La pittura è un linguaggio lento, da affrontare con tempi dilatati che si distinguono dalla gran corsa del rea­le quotidiano, una tecnica che matura senza eccessiva fretta ma che, prima o poi, può giungere a traguardi veramente notevoli.
Sono quasi due decenni che Letizia Fornasieri dipinge oscillando tra dentro e fuori. Il dentro riguarda la con­templazione di una stanza chiusa, l'osservazione minuziosa degli oggetti, il soffermarsi su angoli in penom­bra, il ritrarre (e il ritrarsi) all'interno di una situazione domestica, familiare, in apparenza rassicurante. Tutte poetiche ben presenti in altri linguaggi, ad esempio nella fotografia, che invece la pittura ha schivato come per pudore e solo oggi, dopo essersi affrancata dall'eroismo degli anni '80 e dal neo-giovanilismo dei '90, sta considerando con più attenzione. Ma la modernità della pittura non risiede soltanto nel soggetto o nel tema, poiché c'è un modo di farsi leggere con occhi attuali anche tratteggiando cose banali e ordinarie. [...] Continua...

"Questo è il percorso, esemplificato dai qua­dri, di come la pittura mi abbia condotto a ri­conoscere il mio posto nella vita.
Ho cominciato dipingendo le cose; cose che vedevo nella mia casa, oggetti sparsi sui tavo­li, sedie, finestre, porte.
Perché queste mele sul tavolo? Perché quella sedia? Perché i tubetti abbandonati sul tavolo? Perché io sono qui, ora?
Il guardare le cose diventava una domanda al­la realtà, perché svelasse il senso di sé ed il si­gnificato di me tra le cose.
La realtà chiama ed io rispondo concedendo­mi ad una cosa che c'è: non ci si può sottrar­re all'attrattiva del bello che chiama; allora ac­cade il quadro, che è la materializzazione del rapporto tra il mio io e le cose.
Così l'io scopre di essere solo se risponde a chi lo chiama: l'io è rapporto con altro da sé. Non si può evitare la realtà: il dramma è lasciarsi interpellare dalla realtà.
La vita allora assume la forma della lotta, mor­tale, come in "Disputa", in cui i due tubetti di colore interpellano il boccettino nero d'inchio­stro, che diventa segno del Mistero (Ragione). Il Mistero o è reperibile tra le cose oppure io non lo posso incontrare; infatti anche i tu­betti sul tavolo cercano questo significato e si aggirano, curiosi, attorno a una diapositiva, segno di questo Senso ultimo, abbandonata tra le cose.
Ecco la casa che vedevo dalla finestra dello studio; casa per tanti anni vista e non potuta dipingere: perché? Perché era troppo grande e non entrava nelle dimensioni del quadro.
Ad un certo punto essa, la casa rosa, è potu­ta entrare nel quadro, perché gli oggetti in pri­mo piano, ho capito poi, accettavano la rela­zione con lei. [...] Continua...